Occhi su Gaza, diario di bordo #95
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Nelle ultime ore da Gaza City arrivano altre segnalazioni di minori colpiti durante i tiri israeliani nelle zone “fuori linea”, quelle che sulla carta dovrebbero essere relativamente sicure. A Zeitoun si scava ancora: Israele vuole recuperare l’ultimo ostaggio, Ran Gvili, per chiudere l’elenco che serve alla politica, mentre gli elenchi dei civili continuano a gonfiarsi senza un volto, senza una voce.
Dalla Germania arriva il sostegno al piano Netanyahu: la “fase due” del dopoguerra, la promessa che Israele manterrà il potere di intervento su tutta la terra tra il Giordano e il Mediterraneo. Niente Stato palestinese, nessun impegno a contenere le operazioni militari, nessun passo verso l’isolamento internazionale. È la diplomazia che parla di stabilità mentre a sud di Gaza medici e volontari tentano di ricomporre resti dilaniati.
In Italia la vicenda è letta con lucidità soltanto da chi osserva le conseguenze. Gli operatori sanitari che hanno evacuato la piccola Tia a Roma lo dicono con semplicità: una malnutrizione così, qui, non l’hanno mai vista. È la fotografia di un assedio che non permette all’infanzia di sopravvivere e che ogni giorno produce un numero di feriti e mutilati che nessun tavolo negoziale sembra voler mettere al centro.
Gaza intanto continua a seppellire e a disseppellire. La vita e la morte procedono insieme, nella stessa sabbia. Oggi Ahed è il nome che resta. Domani, con ogni probabilità, un altro lenzuolo arriverà a occupare il suo posto.
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