
Antichi Crimini
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À propos de cet audio
Nel cuore del Medioevo, quando microscopia, DNA, impronte digitali e database erano impensabili, investigare un omicidio significava affidarsi a tre strumenti fondamentali: testimonianze, deduzioni logiche e confessioni, spesso ottenute con mezzi coercitivi. Non esisteva una polizia come quella moderna, ma autorità locali – balivi, podestà, inquisitori – svolgevano una funzione investigativa legata al potere e alla legge dell’epoca. Nelle città come Bologna, Firenze o Milano era il podestà, assistito da notai che redigevano le testimonianze e da armigeri pronti all’azione, a gestire i processi; nelle campagne, signori feudali o chierici assumevano questo ruolo, fondendo potere laico e sacro in un’unica figura. Arrivare sulla scena del crimine significava osservare, toccare e giudicare senza filtri: la gente si raccoglieva intorno al cadavere, spesso contaminando inevitabilmente il luogo. Gli investigatori cercavano tracce evidenti – ferite da taglio, sangue, lividi, segni di strangolamento – e raccoglievano gli oggetti sospetti, anche armi lasciate troppo alla portata. Ma le analisi erano affidate a medici che, basandosi su trattati come quelli di Avicenna e Ippocrate, cercavano di stimare il momento della morte o rilevare tracce di veleno, osservando svogliatamente il colore della pelle o asportando organi interni, quando la Chiesa lo permetteva.