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Esperimento del falso paziente (Rosenhan, 1973)

Esperimento del falso paziente (Rosenhan, 1973)

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Nel 1973 lo psicologo David Rosenhan condusse uno degli esperimenti più controversi della storia della psicologia: “On Being Sane in Insane Places”, cioè “Essere sani in luoghi di follia”.

Rosenhan e sette collaboratori decisero di testare l’affidabilità delle diagnosi psichiatriche. Come? Fingendosi pazienti.
Ognuno di loro si presentò in diversi ospedali psichiatrici degli Stati Uniti, dichiarando di sentire voci indistinte che dicevano parole come “vuoto”, “sordo”, “colpo”.
Nient’altro. Nessun altro sintomo.

Tutti e otto vennero ricoverati con diagnosi di schizofrenia o disturbo maniaco-depressivo.
Una volta dentro, smetterono di simulare e si comportarono normalmente, ma — incredibilmente — nessun medico si accorse che fossero sani.
I ricoveri durarono in media 19 giorni, e uno dei falsi pazienti rimase dentro quasi due mesi.

Solo gli altri pazienti sembrarono intuire la verità: molti dissero ai “nuovi arrivati” cose come “tu non sei malato, sei un giornalista o uno scienziato”.

Quando Rosenhan rivelò i risultati, la comunità psichiatrica rimase scossa.
Un grande ospedale lo sfidò: “Mandaci dei falsi pazienti, li riconosceremo tutti”.
Nei mesi successivi, i medici indicarono 43 sospetti impostori.
Ma la verità? Rosenhan non aveva mandato nessuno.

L’esperimento dimostrò che il contesto influenza enormemente la percezione della normalità e della follia.
Una volta che un individuo è etichettato come “malato”, ogni suo comportamento viene reinterpretato alla luce di quella diagnosi.

Un esperimento che mise in crisi la psichiatria tradizionale e aprì il dibattito sulla soggettività delle diagnosi, sull’uso delle etichette e sulla dignità dei pazienti.

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