Una famiglia che vive lontano da tutto, immersa in un bosco silenzioso.
Scelte radicali, convinzioni profonde, un modo diverso di crescere i figli.
E poi l’arrivo delle istituzioni, dei giudizi, delle paure.
Una storia che divide, che fa domande scomode e che costringe a guardare da vicino ciò che normalmente ignoriamo.

Chi sono davvero queste persone?
Perché hanno scelto quel bosco?
E cosa succede quando due mondi incompatibili si incontrano?

La Famiglia del Bosco
Una vicenda che non lascia indifferenti.

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A Mianduhe, il viaggio rallenta fino quasi a fermarsi. È un piccolo centro ai confini della Manciuria, dove la Transiberiana si assottiglia tra campi gelati e binari coperti di fango. Il mercato del mattino è un mosaico di volti e gesti: carretti colmi d’erba, muli stanchi, donne che barattano silenziosamente il raccolto. Qualche edificio nuovo sorge accanto alle vecchie baracche di legno, come un futuro che tenta di farsi spazio tra le ombre del passato.
L’aria sa di carbone e di terra bagnata. Tutto sembra immobile, eppure sotto la quiete si percepisce un cambiamento imminente, un battito lento che accompagna il distacco. Qui il viaggio non è più solo movimento, ma contemplazione: uno sguardo sul tempo che passa, sull’uomo che osserva, sulla vita che continua anche dove il mondo sembra essersi dimenticato di guardare.

Una giornata limpida, tra il profumo dei dolci del mattino e il vento gelido delle steppe. Franco e Tino si muovono nella loro piccola città di confine, ancora sospesi tra curiosità e spaesamento. Un taxi diventa la chiave d’accesso a un frammento autentico di Cina: un tassista sorridente, una bottiglia di coca cola bevuta come fosse un rito, il lago Hulun Nur che riflette un sole freddo e inatteso.
Nel pomeriggio, tra disegni improvvisati e risate, si intrecciano scoperte e fraintendimenti, un pasto condiviso, una locomotiva spenta che racconta un passato di carbone e fatica.
La sera, quando il treno parte per Mianduhe, tutto cambia: il viaggio riprende, ma con un nuovo sguardo. Un capitolo che profuma di strada, d’incontri e di partenze.

Durante una pausa in una piccola città di confine, il viaggio rallenta e lascia spazio alla riflessione. Franco approfitta della quiete per leggere, studiare e comprendere la storia della Cina: un Paese che non si lascia decifrare in fretta, fatto di contrasti, grandezze e silenzi.
Tra le luci al neon della sera e le voci dei mercati del giorno, il tempo sembra sospeso. Questa sosta diventa un passaggio interiore, un momento per prendere le misure con una cultura vasta e complessa, prima di riprendere il cammino.
Un capitolo di conoscenza e ascolto, dove il viaggio esteriore si intreccia con quello della mente.

L’episodio si svolge lungo il confine orientale della Russia, in un luogo dove l’attesa sembra non finire mai. Tra controlli, voci, sospetti e speranze, ogni dettaglio diventa decisivo. Il viaggio continua, ma qualcosa, in quell’aria sospesa, fa intuire che nulla sarà più come prima.

Il viaggio prosegue verso oriente, tra pensieri inquieti e orizzonti che si allungano. Ogni ora sembra pesare più della precedente. Le distanze si accorciano, ma qualcosa nell’aria cambia: il confine si avvicina e con esso una strana, crescente inquietudine.

Dopo giorni di treno, il viaggio si ferma sulle sponde del Baikal. L’acqua immobile riflette il cielo e i pensieri. In questo capitolo racconto due giorni di silenzio, incontri e riflessioni davanti al lago più antico e profondo del pianeta. Un luogo che sembra respirare, dove il tempo rallenta e tutto torna essenziale.

Il viaggio lungo la Transiberiana comincia a pesare. L’aria del treno è calda e pesante, fuori il freddo punge. Le ore si ripetono uguali, tra chiacchiere, militari e provodnitze che cercano di alleggerire la monotonia. Arriviamo a Novosibirsk in piena notte: hotel costosi, gente sgarbata, una città che un tempo ospitava le menti più brillanti dell’Unione Sovietica. È la tappa del disincanto, quando la fatica del viaggio si mescola alla nostalgia e ogni cosa sembra irritare più del necessario.