Occhi su Gaza, diario di bordo #88
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Nelle stesse ore il ministero della Sanità di Gaza aggiorna il bilancio: 70.100 palestinesi uccisi dal 7 ottobre 2023. Dentro questo numero ci sono 354 morti dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco, una contabilità che rende evidente come la tregua esista solo nelle dichiarazioni. Funziona come un velo linguistico: la realtà è che si continua a morire lungo una linea disegnata su una mappa e spostata a seconda della convenienza.
La fame non aspetta i comunicati. L’Unicef parla di 9.300 bambini sotto i cinque anni in malnutrizione acuta. Due su tre, nella settimana passata, hanno mangiato appena due gruppi alimentari. L’inverno è già addosso: freddo più malattia significa corpi che non hanno le riserve per resistere. Intanto, per il secondo giorno consecutivo, Israele chiude i valichi con l’Egitto e con la Striscia. Gli aiuti restano fermi a pochi metri dai campi dove si distribuiscono coperte che non vengono rimpiazzate. La “crisi umanitaria” ha un funzionamento preciso: dipende da una manopola che qualcuno ruota a piacere.
E mentre tutto questo accade, in Italia il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi definisce Gaza un “pretesto di conflittualità” nei cortei. Lì due fratelli raccolgono legna e muoiono. Qui il problema diventa chi cammina in strada con una bandiera. A volte la distanza non si misura in chilometri, ma nel modo in cui un paese decide quali corpi meritano di essere nominati e quali possono svanire nel rumore di fondo dell’ordine pubblico.
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