Siamo pronti al marketing per le macchine?
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Échec de la suppression de la liste d’envies.
Échec du suivi du balado
Ne plus suivre le balado a échoué
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Nella nuova frontiera della customer experience, la domanda non è più "cosa cercano gli utenti?", ma "cosa chiedono alle macchine di trovare per loro?". È lo shift che Christoph Ramler, Group Marcom's Data Research and Intelligence Lead di Unicredit - e Giulio Valente, Global Digital Data Insight and Optimization Lead ci Amplifon hanno raccontato ai microfoni di #Radio Next, dentro un contesto dove browser come Comet di Perplexity e Atlas di ChatGPT stanno riscrivendo le regole del gioco.
Se per anni la customer experience ha vissuto sull'analisi dei comportamenti digitali - click, scroll, funnel, conversioni - ora lo scenario si ribalta: non è più l'utente a muoversi verso i contenuti, è l'AI a portarli all'utente. E allora siamo davvero pronti a fare marketing non più alle persone, ma alle macchine che mediano il rapporto con le persone?
Giulio lo dice chiaramente: "farsi trovare pronti" significa creare contenuti pensati per essere letti, interpretati e rielaborati dall'intelligenza artificiale. Non più keyword, ma argomentazioni; non più landing ottimizzate per Google, ma informazioni strutturate per rispondere a intenti complessi. Eppure la sfida non è solo semantica. Perché se l'AI diventa il punto di accesso, le aziende rischiano di perdere i dati di prima parte: non vedono più l'utente, vedono un crawler. Che cosa succede se Comet o Atlas diventano il nuovo "Google dei comportamenti", capaci di rivendere pattern o intent? E soprattutto: chi possiede davvero la relazione con il cliente?
Christoph Ramler porta la prospettiva di un settore regolamentato come quello bancario, dove la fiducia è ancora un asset centrale. L'evoluzione, dice, sarà un modello "B2AI2C": prima le aziende parlano all'AI, poi l'AI parla al cliente. E per farlo servono contenuti chiari, affidabili, citabili. È la nascita della GEO - Generative Engine Optimization - che sostituisce la SEO nelle logiche di esposizione. Ma quanto possiamo rivelare senza esporci troppo? Christoph ribalta la domanda: la regolamentazione obbliga alla semplicità, quindi l'AI può essere un acceleratore di trasparenza.
Resta però aperto un nodo enorme: l'omnicanalità. Siamo da anni al suo inseguimento, ma la verità, dice Valente, è che finché esiste la componente umana, non tutto sarà misurabile. Gli automatismi funzionano, ma il comportamento spontaneo - entrare in negozio, fare una telefonata, cambiare idea - sfugge agli schemi. Le aziende digital-native ci stanno arrivando, le grandi organizzazioni tradizionali hanno un percorso più lungo, ostacolato dal peso dei sistemi legacy.
E allora che fare, da manager o imprenditori? Christoph invita ad "abbassare l'aspettativa su cosa l'AI può fare". Gli errori sono parte del processo, ma nel finance e nella health - ricorda Giulio - sbagliare è un problema enorme. Da qui la necessità di lavorare su fiducia, trasparenza, coerenza del messaggio. Perché il futuro della customer experience non sarà solo tecnologico: sarà una nuova forma di relazione, mediata dalle macchine ma guidata dalla credibilità del brand. E la domanda finale è inevitabile: stiamo costruendo contenuti per convertire o per essere compresi? Perché presto, molto presto, la differenza farà tutto.