Vescovi bevitori nei Sermoni di Cesario di Arles
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Arles, V secolo dopo Cristo. La "Piccola Roma di Gallia" è una città fiorente che esporta vino, olio e grano in tutto l'impero. I suoi vigneti producono rossi pregiati destinati alle élite e vini ordinari per lavoratori e schiavi. Ma dietro questo successo commerciale si nasconde un problema che scuoterà la Chiesa del tardo impero: l'ubriachezza dilagante tra il clero. In questo episodio del Giustiniani Report esploriamo i Sermoni di Cesario di Arles, vescovo, monaco e riformatore che dedicò la sua predicazione a combattere quello che definiva un "veleno del diavolo" sempre più diffuso: il vizio del bere smodato, particolarmente tra vescovi e chierici di alto rango. Cesario non usa mezzi termini. Nei suoi Sermoni 46 e 47 denuncia vescovi che organizzano conviti sontuosi invece di predicare, sottraendo denaro ai poveri per allestire banchetti che durano fino all'alba. Descrive chierici che costringono gli ospiti a bere "in nome di santi e angeli", prelati che arrivano al vomito e devono essere portati a letto da altri, pastori più interessati alla gestione dei vigneti che alla cura delle anime. Attraverso un linguaggio volutamente "terra terra" – adatto ai contadini e ai poveri del suo greggio – Cesario usa immagini vivide e brutali: paragona gli ubriachi a "cloache maleodoranti", descrive corpi traballanti e occhi annebbiati, denuncia la pratica di mangiare cibi eccessivamente salati solo per poter bere quantità smodate di vino. Ma c'è di più. Cesario colloca l'ebrietas – l'ubriachezza abituale – accanto ai peccati più gravi, citando San Paolo: "Né gli ubriaconi erediteranno il regno di Dio". Il Concilio di Agde del 506, che egli stesso presiede, vieta esplicitamente l'ubriachezza ai chierici, prevedendo scomunica o pene corporali. Questo episodio ci porta nella Arles del V-VI secolo, città dei due fiumi attraversata da invasioni barbariche, guerre tra Franchi e Goti, dominazioni di Visigoti, Burgundi e Ostrogoti. È qui, tra le necropoli degli Alyscamps – gli stessi campi che Van Gogh dipingerà secoli dopo – che Cesario combatte la sua battaglia morale. Scopriremo come il monachesimo occidentale, a differenza di quello orientale, sia stato più "possibilista" sull'uso del vino, ereditando i topoi biblici della vite e dei tralci. Vedremo come Agostino d'Ippona – di cui Cesario fu il principale divulgatore nelle Gallie – bevesse vino a tutti i pasti e come la sua regola monastica prevedesse vino "per chi vuole" nel fine settimana. Ma soprattutto, attraverso le parole di questo vescovo dimenticato e riscoperto, comprenderemo come i concetti fondamentali della teologia classica siano passati al Medioevo, come l'etica dell'alimentazione si intrecciasse con la teologia morale, e come problemi sorprendentemente attuali – l'abuso di sostanze, la corruzione del clero, il conflitto tra ricchezza terrena e povertà spirituale – affliggessero già la Chiesa tardo-antica. Un viaggio affascinante nella storia del vino, della Chiesa e dei costumi di un'epoca di transizione, dove il calice eucaristico poteva trasformarsi in calice dell'eccesso.
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