Épisodes

  • Gaza, l’ultima invenzione: il lager umanitario
    Jul 21 2025
    Israele prepara un campo di concentramento a Gaza. Non è una metafora: il progetto, rivelato da Haaretz, prevede di trasferire 600mila palestinesi in un’area recintata a Rafah, sotto controllo militare, con accessi filtrati e libertà azzerata. Lo chiamano “campus umanitario”, ma non ci saranno scuole né ospedali: solo container, torrette di guardia e “regole speciali”. L’obiettivo dichiarato è «spingere la popolazione verso l’Egitto», in violazione palese del diritto internazionale.

    Il piano è firmato da funzionari del ministero dell’Intelligence e sostenuto dai ministri estremisti del governo Netanyahu. “Una città non sarà”, ha detto lo storico Amos Goldberg, “sarà un campo di concentramento”. Michael Sfard, avvocato per i diritti umani, parla apertamente di crimini contro l’umanità. Il governo, intanto, tace. E così fa buona parte della comunità internazionale.

    Dopo mesi di bombardamenti, fame, esecuzioni extragiudiziali e torture nei centri di detenzione, ora si normalizza anche la deportazione. È la fase finale di una guerra condotta non solo contro Hamas, ma contro l’intera popolazione civile. Non si chiama sicurezza. Si chiama disumanizzazione sistematica. E chi la guarda in silenzio non è spettatore: è carnefice travestito da codardo.

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  • Premiata ditta ipocrisia: onore ai giornalisti (ma non a quelli palestinesi)
    Jul 19 2025
    Giorgia Meloni saluta “con grande soddisfazione” l’approvazione della Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa del loro lavoro. Parole solenni, da capo di governo che onora il mestiere di chi racconta il mondo rischiando la vita. Eppure basta scorrere la cronaca di questi mesi per inciampare nella domanda che spezza la retorica: anche quelli uccisi a Gaza rientrano nella memoria istituzionale della premier Meloni?
    Dal 7 ottobre 2023, secondo i dati del Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ), almeno 238 giornalisti palestinesi sono stati uccisi sotto i bombardamenti israeliani mentre documentavano, fotografavano, testimoniavano. La strage silenziosa che accompagna il genocidio non trova spazio nei comunicati ufficiali del governo. Eppure erano giornalisti, esattamente come quelli celebrati dalla nuova legge italiana. Stavano facendo il loro lavoro. Esattamente come quelli di cui si onora il coraggio.
    Il dubbio non è retorico, è politico. Dopo il risveglio tardivo di Palazzo Chigi davanti alle bombe sulle chiese cristiane, ci si chiede se davvero ci sarà anche un secondo scatto di coscienza. Sarebbe un miracolo, di questi tempi. Riconoscere il sacrificio dei reporter palestinesi significherebbe smentire l’alleato Netanyahu, rompere la linea dell’equidistanza pavida, spezzare il silenzio complice.
    Ma la memoria, si sa, è un muscolo politico selettivo. Funziona bene quando non disturba i rapporti internazionali, meno quando nomina i carnefici. Così il governo che celebra i giornalisti uccisi, dovrebbe includere quelli fatti a pezzi dai suoi alleati. Altrimenti il rispetto per il giornalismo resta confinato ai comunicati stampa.

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  • Ben svegliata, Meloni: ma i cocci del genocidio sono anche tuoi
    Jul 18 2025
    C'è voluto un missile sulla chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, due donne cristiane dilaniate, otto feriti (tra cui il parroco Gabriel Romanelli) e il silenzio imbarazzato del Patriarcato per risvegliare Giorgia Meloni dal coma etico. Dopo mesi di mattanza trasmessa in diretta, la premier ha scoperto che "gli attacchi sui civili" - che stavolta non sono anonimi palestinesi, ma fedeli cristiani con nome, volto e parrocchia - "sono inaccettabili".

    Ben svegliata, presidente! Ma è tardi. E lei, su quel sonno selettivo, ha già lasciato diverse impronte. Le risoluzioni Onu boicottate, le armi italiane vendute, i silenzi coperti da formule ipocrite ("attacchi inaccettabili") a cui non seguono mai i fatti. La verità è che questo governo ha contribuito, anche con l'indifferenza, a rompere l'argine dell’umanità. E ora non può far finta che i cocci non siano anche suoi.

    Israele continua a colpire case, scuole, ospedali, tende di sfollati, chiese. La carneficina a Gaza è una routine. Decine di morti solo all’alba di ieri. Famiglie intere polverizzate, quartieri spianati, bambini mutilati. E se qualcuno osava chiamarlo crimine, era accusato di antisemitismo.

    Poi è arrivato un proiettile sul tabernacolo, e i muscoli della premier si sono contratti. Forse perché la politica estera italiana, in questo governo, è tutta una questione di categoria dell’empatia? I cristiani valgono, i palestinesi si contano?

    Se oggi si accorge delle vittime, non è perché ha aperto gli occhi che avrebbe potuto aprire 60mile vittime fa. Forse è perché il sangue ha sporcato anche i suoi.

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  • Ogni ora una vittima, ogni giorno un silenzio: il prezzo della complicità
    Jul 17 2025
    Nel silenzio assordante delle cancellerie internazionali, continua la strage di civili a Gaza. Nelle ultime ventiquattro ore, i raid israeliani hanno ucciso 94 persone e ferito 252. Il bilancio complessivo dall’inizio della guerra, secondo fonti sanitarie locali, è di 58.573 morti. Numeri che, da soli, disegnano un crimine umanitario. Ma i numeri, da soli, non bastano: sono le storie che mancano, le facce, le vite spezzate.
    A morire non sono “terroristi”, come si affanna a ripetere la propaganda bellica, ma donne, bambini, anziani. Ieri almeno 19 persone sono state schiacciate in una calca nel tentativo di ottenere un sacchetto di aiuti. E la fame — come denuncia l’UNRWA — è un’altra arma di guerra: la malnutrizione acuta tra i minori sotto i cinque anni è raddoppiata da marzo. Una generazione intera condannata alla fame prima ancora di conoscere la pace.
    Intanto, a Washington si discute di cessate il fuoco con il Qatar. A Bruxelles, si tergiversa. E in Italia, il governo esprime “preoccupazione”, mentre la presidente Meloni ringrazia i servizi segreti per il lavoro “a Gaza”. Il linguaggio resta opaco, ma l’allineamento è chiaro. Il massacro è sotto gli occhi di tutti, ma la reazione è calibrata sull’elettorato, non sul diritto.
    Il relatore ONU Francesca Albanese parla apertamente di genocidio e chiede azioni concrete. L’UE, per voce di Borrell, decide di non punire Israele. Un’omissione che pesa quanto la complicità.
    La storia, quando arriva, non chiede permesso. E questo capitolo, già oggi, si scrive col sangue dei civili e l’inchiostro lavato via dai governi che hanno scelto di guardare altrove.

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  • Netanyahu promette l’inferno. E il mondo ascolta in silenzio
    Jul 16 2025
    Dice Netanyahu che dopo la tregua si tornerà ad “assediare Gaza”. Non è una minaccia. È un piano: dividere la popolazione, spingerla a sud, trasformare il nord della Striscia in un campo di battaglia, il sud in un recinto. Ieri l’ennesimo ordine: evacuare immediatamente Gaza City e Jabalia. Un ultimatum lanciato a chi non ha più nulla da evacuare, se non il proprio corpo esausto, se ancora in vita.
    Nel frattempo, le bombe piovono sui campi profughi. A Shati cinque morti, nel quartiere Remal sei uccisi sotto le tende degli sfollati. Secondo il ministero della Sanità locale, oltre 58 mila le vittime palestinesi da ottobre 2023, più della metà donne e bambini. La cifra viene contestata da Israele, ma è difficile controbattere le immagini dei cadaveri di bambini in fila per l’acqua. L’Egitto parla apertamente di “oltre cento morti al giorno solo per cercare gli aiuti”. L’Europa si mostra “preoccupata”, ma a Gaza continuano a mancare carburante, medicine, cibo. E pace.
    L’evacuazione forzata e la distruzione sistematica delle infrastrutture civili configurano un intento genocidario sotto gli occhi del mondo. L’Onu parla di "crimini", le chiese cristiane denunciano attacchi dei coloni a Taybeh, una fondazione belga chiede l’arresto di un soldato israeliano. Netanyahu, invece, promette la prosecuzione del conflitto come se fosse un diritto sovrano. Trump riduce Gaza a una trattativa immobiliare: “una soluzione nella prossima settimana”. Le bombe, intanto, non si fermano.
    Tra le vittime di ieri anche il fratello di un medico palestinese che lavora in Italia: era andato a cercare cibo. Gaza muore e il mondo prende appunti. Sul metodo.

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  • La Handala sfida Israele. E anche la nostra indifferenza
    Jul 15 2025
    La Handala è salpata da Siracusa. Non è una notizia di cronaca navale ma un gesto politico. Porta a bordo aiuti umanitari e civili disarmati, non rappresenta governi ma persone. La sua rotta è Gaza, il suo obiettivo è rompere l’assedio. In mare aperto, laddove il diritto internazionale dovrebbe essere sovrano, Israele ha già sequestrato una nave della Freedom Flotilla, la Madleen, deportando l’equipaggio. Oggi si replica. Con lo stesso carico: cibo, medicine, solidarietà. E con lo stesso rischio: essere rapiti, interrogati, maltrattati.
    È la risposta della società civile dove le istituzioni tacciono. Dopo la rottura del cessate il fuoco del 18 marzo, Israele ha ucciso oltre 6.000 palestinesi e ne ha feriti più di 23.000. Ha lasciato morire centinaia di civili in fila ai punti di distribuzione alimentare, gestiti da contractor sotto supervisione statunitense. La Handala salpa contro tutto questo.
    Prende il nome da un personaggio a fumetti: un bambino palestinese scalzo, di spalle, che giura di voltarsi solo quando la Palestina sarà libera. È l’infanzia negata che avanza sul mare. È la memoria di Vittorio Arrigoni che torna a respirare tra le onde.
    Chi sale a bordo – medici, avvocati, giornalisti, attivisti – lo fa in nome dei bambini di Gaza, più della metà della popolazione. Lo fa per i 50.000 tra loro uccisi o feriti dal 2023, per gli sfollati, per gli orfani.
    La Handala è una nave, ma è anche una domanda: quanti civili devono ancora morire prima che la comunità internazionale smetta di giustificare l’ingiustificabile?
    Non porta solo aiuti. Porta una verità che galleggia dove gli Stati affondano.

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  • L’unico errore è credere ancora a chi parla di errori
    Jul 14 2025
    Malfunzionamento tecnico. Così l’esercito israeliano ha spiegato il bombardamento su un punto di distribuzione dell’acqua nel campo profughi di Nuseirat, dove sono morti dieci palestinesi, tra cui sei bambini. Erano in fila per l’acqua. A piedi, con taniche vuote, due chilometri a passo di sete. Non è un’immagine, è un fatto: sei bambini uccisi mentre tentavano di sopravvivere. È lì che Israele ha colpito. E il missile, ci dicono, ha sbagliato bersaglio per un guasto.
    C'è un dettaglio che stona: l’Istituzione che da mesi bombarda convogli umanitari, ambulanze, ospedali e panifici, si accorge solo ora che qualcosa non ha funzionato. Forse perché i corpi sono troppo piccoli per sostenere la tesi del "danno collaterale"? Forse perché un rubinetto d’acqua, in un campo sotto assedio, è una prova troppo evidente per essere ignorata? Oppure – ed è questa la provocazione – il malfunzionamento è più profondo, più antico, più teologico.
    Il malfunzionamento non è solo del missile, ma del dio che viene invocato per giustificare il diritto di uccidere. Il dio delle vendette selettive, delle terre promesse a colpi di bomba, delle vittime necessarie, dei bambini "inevitabili". Un dio di precisione chirurgica che sbaglia sempre nei pressi delle scuole, dei mercati, delle cliniche. Un dio armato e fallibile, che autorizza le stragi e si discolpa con un comunicato stampa.

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  • Albanese fa il suo dovere, Meloni no
    Jul 11 2025
    Amnesty International dice le parole che Giorgia Meloni dovrebbe pronunciare, se l’Italia fosse ancora un Paese capace di difendere il diritto internazionale. Davanti alle sanzioni annunciate dagli Stati Uniti contro Francesca Albanese, relatrice speciale ONU sui territori palestinesi occupati, la segretaria generale Agnes Callamard è netta: «Sono un’aggressione al diritto internazionale», «una strategia per proteggere il governo israeliano da ogni responsabilità», «un atto intimidatorio che prosegue l’attacco dell’amministrazione Trump contro chi difende i diritti dei palestinesi». Erika Guevara Rosas, direttrice Amnesty per le Americhe, ha definito le sanzioni «un oltraggio alla giustizia internazionale». Parole che andrebbero scolpite nei comunicati ufficiali della Farnesina. E invece, il silenzio.
    Nessuna dichiarazione del ministro degli Esteri. Nessun accenno alla gravità di un atto che colpisce non solo una cittadina italiana, ma l’idea stessa di diritto sovranazionale. Il segretario di Stato Marco Rubio ha accusato Albanese di «guerra politica ed economica» per aver suggerito un’azione della Corte penale internazionale contro Stati Uniti e Israele. L'ha punita per aver fatto il proprio mestiere, con rigore giuridico e coerenza istituzionale.
    Nel rapporto che ha preceduto le sanzioni, Albanese ha documentato il coinvolgimento diretto di alcune multinazionali americane nella repressione ai danni dei palestinesi. Ma mentre Amnesty alza la voce, l’Italia scompare. Se un governo non sa difendere i suoi cittadini quando servono la verità, allora non rappresenta una nazione, ma un’assenza.

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