
Piazze piene, palazzi vuoti: Gaza chiede politica, non posture
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I fatti delle ultime ore: raid e un panificio colpito ad al-Nasr, undici civili uccisi. Dall’alba 44 morti, 66 nelle 24 ore secondo le autorità sanitarie locali. Colpire i forni quando manca il pane è più di un segnale militare: è una scelta politica sulla vita dei civili.
L’Europa parla ma resta ferma. «Gaza ha bisogno di meno guerra, non di più», dice Kaja Kallas. Ma non è una guerra quella in cui un esercito trucida civili, donne e bambini, gente in fila per la farina e il pane. Gaza ha bisogno di meno vigliaccheria europea. Solo quello.
Fuori dai palazzi la realtà spinge: in cinquemila al Lido di Venezia e, da Genova, la Global Sumud Flottilla prepara oltre 300 tonnellate di aiuti. La società civile misura il vuoto della politica.
Intanto Washington restringe il perimetro diplomatico: visti revocati ad Abu Mazen e a funzionari palestinesi a ridosso dell’Assemblea generale. L’Onu chiede chiarimenti.
Se “sicurezza” significa bombardare quartieri, ridurre gli aiuti e mettere in strada un milione di persone senza rifugio, allora stiamo descrivendo altro. Lo sanno le agenzie umanitarie, lo vedono le piazze europee. L’unica scelta seria è cessate il fuoco, pieno accesso umanitario, sanzioni efficaci contro chi sabota il diritto internazionale. Chiamare le cose col loro nome non è radicalismo: è la minima igiene della verità. Ora.
La storia condannerà chi ha parlato senza agire.
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