Mi chiamo Quinto Orazio Flacco. Sono nato l'8 dicembre del 65 a.C. a Venosa, una colonia romana situata tra Apulia e Lucania, nell'attuale Basilicata.
Mio padre era un liberto, ma grazie al suo lavoro di esattore delle aste pubbliche (coactor) a Roma, sebbene un compito poco stimato, godevamo di una buona condizione economica. Non mi sono mai vergognato della sua professione, anzi, ricordo la sua figura con orgoglio e riconoscenza, poiché fu grazie alla sua lungimiranza che potei seguire un regolare corso di studi. Ho studiato a Roma con il grammatico Orbilio e, all'età di circa vent'anni, mi sono recato ad Atene per studiare greco e filosofia con Cratippo di Pergamo.
Da giovane, mi dedicai all'impegno politico: dopo la morte di Cesare, mi arruolai nell'esercito di Bruto, per onorare il mio ideale di libertà. Combattei come tribunus militum nella battaglia di Filippi nel 42 a.C., ma fu una battaglia persa contro Ottaviano e Antonio. Fu solo grazie a un'amnistia che nel 41 a.C. potei tornare in Italia, dove mi ritrovai a fare lo scriba quaestorius (segretario di un questore) per mantenermi, dopo la confisca del podere paterno.
Un punto di svolta nella mia vita fu nel 38 a.C., quando venni presentato a Mecenate da Virgilio e Vario. Dopo nove mesi, Mecenate mi accolse nel suo circolo, e tra noi nacque un'amicizia sincera e duratura. Da quel momento, mi dedicai interamente alla letteratura.
Ho aderito alla corrente filosofica dell'Epicureismo, trovando nel principio del làthe biòsas (vivi nascosto) una giustificazione teorica per l'otium contemplativo, al quale scelsi di dedicarmi in età adulta. Coerente con questi principi, non mi sposai mai e non ebbi figli. Mecenate, nel 33 a.C., mi donò un possedimento in Sabina, che apprezzai molto, preferendo la tranquillità della campagna al caos cittadino.
La mia indipendenza è sempre stata una caratteristica, e anche quando Mecenate mi fece pressioni per scrivere opere di propaganda filo-augustea, non esitai a rispondere con fermezza, come espresso nella favola della volpe (Epistole VII), che sottolineava la mia preferenza per una vita libera e tranquilla rispetto alle ricchezze. Mecenate, affezionato, rispettò sempre questa mia libertà.
Sono considerato uno dei più importanti poeti latini. Tra le mie opere principali ci sono:
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Gli Epòdi, o Iambi, come li chiamavo io. Pubblicati nel 30 a.C. e dedicati a Mecenate, si ispirano alla lirica greca arcaica, con toni aspri, realistici e a volte polemici, sebbene io evitassi di nominare i bersagli politici. Riflettono il periodo difficile dopo Filippi e mostrano varietà di temi, dalla politica all'erotismo, con una poetica aggressiva e sarcastica.
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Le Satire, o Sermones ("chiacchierate alla buona"). Sono due libri, pubblicati tra il 35 e il 30 a.C.. In esse, tratto della società romana e dei suoi vizi, della mia vita quotidiana e di quella dei miei amici, cercando una "legge morale" basata sull'equilibrio e la misura. A differenza di altri satirici, la mia ricerca morale si esprime come una conversazione tra amici, con un atteggiamento sereno e autoironico, lontano dai toni sprezzanti. La componente autobiografica è spiccata, e la mia opera è permeata dalla ricerca dell'autosufficienza (autárkeia), della "misura" (metriòtes) e del "modo" (modus).
Molti modi di dire ancora in uso provengono dalle mie opere, come "carpe diem", "aurea mediocritas" e "est modus in rebus".
Sono morto nel novembre dell'8 a.C., all'età di 57 anni, due mesi dopo la morte del mio grande amico Mecenate, e fui sepolto accanto a lui sul colle Esquilino.
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